Fin dall'antichità, la necessità di garantire alle pecore erba fresca da brucare, evitare loro la calura estiva e tenerle lontane dai campi coltivati in primavera ed estate, ha indotto i pastori a spostarsi con cadenza annuale per portare gli animali in zone più fresche dalle quali si tornava nei mesi autunnali ed invernali.
Il metodo di spostamento più semplice era quello "verticale" della monticazione, tuttora comunemente praticato nel Lazio, che prevedeva il trasferimento degli armenti in pascoli montani vicini, dove gli animali rimanevano dalla primavera all’autunno.
Per distanze maggiori, centinaia di km e giorni di cammino, si parla di transumanza (trans- al di là, humus- terra), una vera e propria "migrazione" che, nel Lazio, è simile agli spostamenti stagionali orizzontali tipici dei grandi tratturi Appenninici che correvano da nord a sud, ma che da essi si differenzia per la durata più breve, 8-10 giorni di cammino, e per la direzione, est-ovest.
Immenso è stato sopratutto a partire dal XV secolo, il transito di greggi che con l'arrivo dei primi freddi settembrini e delle piogge autunnali partivano dall'Umbria, dalle Marche e dall'Abruzzo per venire a svernare nell'Agro Romano, e da lì ripartivano in primavera, lungo tragitti che spesso seguivano le vie consolari Salaria e Flaminia
A questo passaggio stagionale delle pecore e dei pastori sono legate tradizioni, usanze e modi di vita che hanno profondamente modellato il territorio e la società laziale e che sono spesso riconducibili all'antico complesso di usi civici correlati alla pastorizia: in primis quello di pascolo (jus pascendi) da cui discendevano quelli di attingere acqua (jus aquandi), pernottare (jus pernoctandi), farsi il ricovero (jus faciendi tugurium), e tagliare legna (jus lignandi) e di raccogliere ghiande e spighe (glandare et spicare).